Attorno all'interrogativo quasi mitico del fatto storico (confesserà finalmente, il Presidente dimissionario sfuggito alla resa dei conti processuale del Watergate grazie all'intervento del suo successore Gerald Ford, tutta l'ambiguità, vuoi la disonestà del proprio agire?), il film si costruisce su un castello formale sapiente. I documenti d'epoca sono preceduti, accompagnati, come avvolti nelle scene ricostruite in fiction. Al rodato, anche se mai geniale, Ron Howard riesce così di trasformare in tensione drammatica le esperienze estetiche, in particolare teatrali, che sono a monte della pellicola; a tutto vantaggio del solito cast formidabile, con un Nixon/Frank Langella memorabile. Tutto perfetto; tanto da apparire un attimo trasparente, quando la finzione interviene nella naturalezza della scansione live. Dalle briglie allentate di una simpatia umana che traspare, al frustino della carica intellettuale e politica: simpatico, purché non sia la scusa per non giudicare.